Il settore della moda rappresenta una grande risorsa per il Cantone, sede produttiva di molte maison internazionali. Marina Masoni racconta il ruolo di Ticinomoda e che direzione sta prendendo il settore

Articolo apparso su Ticino Finanza il 28 aprile 2016 – Clicca qui per accedere alla pagina online

Il marchio swiss made, ambito in tutto il mondo e sinonimo di somma qualità, è ben incarnato anche nel settore della moda di cui il Ticino è portabandiera in tutta la Svizzera. Le maison internazionali che hanno scelto di spostare la loro produzione tra le sponde di Ceresio e Verbano sono molte come numerosissimi sono i brend d’eccellenza ormai da anni su suolo ticinese.

Punto di riferimento e faro per l’intero ramo è Ticinomoda, nata nel 1959 come Associazione Fabbricanti Ramo Abbigliamento a tutela delle aziende tessili e d’abbigliamento del Ticino. Guidata per 37 anni da Franco Cavadini, l’Associazione è passata, a maggio del 2015, nelle mani di Marina Masoni che raccoglie la sfida in un contesto economico difficile, in cui il franco forte non lascia respiro alle aziende.

Sig.ra Masoni, cosa significa moda per il Ticino?

Creatività, apertura, innovazione, progresso economico. Se c’è un’imprenditoria che non conosce confini e che deve inventare sempre qualcosa di nuovo e anche reinventarsi, questa è l’imprenditoria della moda. I gusti dei clienti cambiano in modo rapido e difficilmente prevedibile, l’offerta deve saperli intuire e anche anticipare, deve incentivare e indirizzare la domanda, l’imprenditore della moda deve saper trasformare tutto questo in un’attività produttiva che rende, con investimenti importanti, conoscenza dei mercati, disponibilità di personale capace. Il Ticino ha saputo diventare un territorio attrattivo per questa imprenditoria, dopo una fase di importante e sofferta ristrutturazione dell’industria dell’abbigliamento. Pensiamo ai grandi marchi internazionali che hanno scelto il nostro cantone e che oggi sono motori economici molto forti. Il nostro territorio è una gran bella vetrina.

Cosa fa concretamente Ticino Moda per le aziende?

La sua missione è molto ben definita e delimitata: promuovere, nel nostro cantone, le condizioni favorevoli allo sviluppo di aziende operanti nel settore moda. Se volessimo utilizzare una metafora contadina, potremmo dire che compito di Ticinomoda è arare il terreno sul quale gli imprenditori possano poi seminare e far crescere le loro piante. Lavoriamo dunque per offrire capacità territoriali alle capacità imprenditoriali che operano sul mercato globale. È il connubio vincente. Senza le capacità territoriali, quelle imprenditoriali scelgono altre localizzazioni. Nell’ambito di questa missione l’associazione cura i rapporti con le istituzioni, si impegna nella formazione, collaborando ad esempio con la Scuola tecnica dell’abbigliamento, con la SUPSI e con offerta formativa propria e in collaborazione con la Camera di commercio; promuove l’informazione e le sinergie tra le ditte associate. C’è poi un aspetto importantissimo. Ticinomoda è firmataria di due contratti collettivi di lavoro: quello specifico per la produzione del settore della moda e dell’abbigliamento e uno per gli impiegati di commercio. Siede anche nelle due commissioni paritetiche di questi contratti.

La moda non è solo tessile. Quanto rende il ramo al Cantone in termini di gettito, posti di lavoro e Pil?

In Ticino abbiamo una settantina di aziende della moda, con circa 6’000 posti di lavoro. Le imprese fanno sia produzione vera e propria, sia progettazione e disegno, sia logistica, sia gestione dei marchi. Attività dunque diversificate, che coprono praticamente tutto lo spettro del ramo della moda, anzi del “metasettore” della moda, come lo ha definito il recente studio dell’Istituto di ricerche economiche “Ticino futuro – Riflessioni per un itinerario economico ticinese”, che lo ha individuato come uno dei quattro principali motori della crescita nella visione “Ticino 2025”. Non disponiamo del dato isolato relativo al PIL. Quanto al contributo che il ramo fornisce al gettito fiscale, non c’è dubbio che sia rilevante: al Cantone, la moda paga circa 90 milioni di franchi all’anno (persone giuridiche).

Quali sono le sfide che deve affrontare in questo momento il settore?

Al di là della salvaguardia di un mercato aperto, del problema valutario, dell’eccesso di regolamentazioni, della competitività fiscale, della stabilità in generale, c’è una preoccupazione di fondo che non ci lascia tanto tranquilli: è il clima negativo – in tutta Europa – nei confronti delle imprese e in particolare di quelle che si muovono sul mercato globale, che sta contagiando anche il nostro Cantone. L’arrivo in Ticino di un’industria con decine o centinaia di posti di lavoro fa quasi scattare una reazione emotiva negativa. Sembra quasi che l’imprenditore che sceglie il Ticino sia un fattore di disturbo. Fino a non molti anni fa succedeva il contrario. Questo è molto pericoloso. Viviamo certamente un periodo non facile: conosciamo il problema dei frontalieri, sul quale c’è una sensibilità spiccatissima. Però quando si arriva a rimettere in discussione le basi stesse dello sviluppo economico (cioè l’insediamento di nuove imprese e l’espansione di quelle esistenti), si supera il livello di guardia. Dobbiamo fare in modo che questa involuzione nel clima generale venga fermata e poi rigirata. Non ci può essere un futuro positivo, di benessere, di opportunità in un territorio che diventa tendenzialmente ostile all’imprenditoria, soprattutto a quella che viene da fuori.

Fino a poco tempo fa il Ticino sembrava molto attraente per le imprese. Perché?

Nel pieno della crisi strutturale degli anni Novanta, quando il Ticino perse ventimila posti di lavoro e quando la disoccupazione sfiorò l’8%, quasi quadruplicando in meno di un decennio, venne varata una strategia di rilancio fondata sulla competitività fiscale, sugli incentivi alle innovazioni economiche (il famoso progetto Copernico), sull’ottimizzazione dell’apertura del mercato del lavoro poi sopraggiunta con i Bilaterali. L’economia ha ricominciato a creare posti di lavoro e ad attirare nuove imprese. Poi da un lato ci si è fermati lungo la strada delle riforme di competitività (in campo fiscale ad esempio non si più fatto nulla di sostanzioso), c’è stata la crisi della finanza e dei debiti e non pochi cittadini residenti si sono sentiti esclusi dalle nuove opportunità che l’apertura del mercato ha offerto. A tutto questo si sono aggiunte le pressioni esterne sulla Svizzera, le tensioni con l’Italia e quel clima negativo abbastanza generalizzato in Europa di cui si è detto prima

La dipartita di Armani è segnale di una controtendenza?

Non direi. Il caso Armani, che comunque non abbandona completamente il Ticino, ha ragioni specifiche, particolari, indipendenti dalle tendenze generali di cui si è detto. Di certo, le pressioni dall’Italia non sono estranee a quella scelta.

Cosa sta cambiando?

Lo abbiamo visto e giova ripeterlo: c’è un clima generale di ostilità all’imprenditoria che deve preoccuparci tutti. Paradossalmente, questo clima che in Ticino vediamo deteriorato, è peggiorato meno in Ticino che attorno a noi, ma questo non può essere un motivo per stare con le mani in mano. Mal comune non è mezzo gaudio: il nostro paese deve darsi da fare. Ci sono le capacità imprenditoriali, ci sono – seppure da migliorare – le capacità territoriali, ma in questo connubio vincente si è intrufolata la negatività verso il fare impresa. Occorre affrontare questo problema e ripristinare un clima più favorevole all’imprenditoria. Ci vorrà tempo: prima si comincia, meglio è.