È definito dal neologismo reshoring (o nearshoring) il fenomeno che sta interessando sempre più aziende europee che, dopo aver delocalizzato la produzione decenni fa, tornano a produrre nel Paese d’origine.
Il fenomeno interessa in particolar modo alcuni settori, messi letteralmente in crisi da problemi di reperibilità e fornitura di componenti essenziali: è un esempio il settore dell’automotive, che in Europa ha vissuto un drastico calo delle vendite a causa della mancanza di microprocessori e parti elettroniche spesso prodotte in Asia.
Il reshoring, dopo essere stato un fenomeno emergente attorno al 2015 ed essere stato tanto dibattuto da allora anche nel settore moda, è divenuto una realtà per numerosi marchi del mondo del fashion. Già il report annuale datato 2017 dello European Monitor of Reshoring indicava 165 casi di aziende europee che nel periodo 2014-2017 avevano riportato la produzione entro i confini nazionali o europei. Nel corso degli anni, marchi come Louis Vuitton, Prada, Ferragamo, Benetton, Ermenegildo Zegna e Piquadro hanno vissuto una fase di reshoring.
Pur non rappresentando un fattore critico per molte aziende del fashion, che rispetto ad altre realtà avevano portato in minor parte la produzione verso mete lontane, la delocalizzazione vissuta negli ultimi decenni sta vivendo un’inversione di tendenza anche in questo settore. Le motivazioni alla base di questa scelta sono spesso legate alla volontà dei brand di mantenere livelli di qualità produttiva, distribuzione e servizi al cliente elevati, in modo coerente con la narrativa di eccellenza e lusso spesso veicolata dai marchi di moda europei. Produrre in patria significa infatti un maggior controllo sulla qualità, tempi di consegna più rapidi e affidabili, oltre che una prossimità fisica e comunicativa al cliente europeo.
Una causa non secondaria che potrebbero aver dato una spinta al fenomeno puì essere anche l’aumento generale dei costi di produzione e della manodopera in un mercato di riferimento come quello cinese, che vede ora gli imprenditori cinesi delocalizzare a loro volta la produzione verso nuove mete a costi ancor più bassi, come i Paesi del continente africano.
Fonte: pambianconews.com